Quasi umani è un’antologia della migliore narrativa fantascientifica. I racconti di questo volume presentano infatti due caratteristiche d’eccezione: recano tutti la firma di “grandi” della fantascienza, tra i quali Isaac Asimov, Ray Bradbury, Henry Kuttner, Richard Matheson, e, d’altro canto, sono centrati sull’affascinante figura dell’androide — il robot in tutto simile all’uomo, ricoperto di carne sintetica e dotato di uno stupefacente cervello elettronico, la macchina perfetta, “condizionata” per vivere, pensare e sentire come l’uomo. Dal tempo del primo rozzo robot di Capek si è fatta molta strada, tanto è vero che le vicende degli eroi meccanici di questi racconti sono tutte imperniate su quel microscopico quid, quell’estremo limite che permette (o non permette) di distinguere l’uomo dalla sua copia perfetta. Il lettore non avrà dunque davanti a sé un freddo universo meccanizzato, ma un mondo “umano” (con gli affari, lo sport, lo spionaggio, ecc.) dove si dispiegano passioni come la violenza e l’odio, e dove si può incontrare l’orrore e la morte. Che accade quando un robot è talmente perfetto da credersi uomo e da voler distruggere i suoi “simili”? Quali conseguenze potrebbe avere la possibilità di comprarsi innumerevoli sosia e “guidarli” a distanza? Come reagirebbe una città se venisse a sapere che il miglior sindaco che abbia mai avuto è una macchina? E cosa farebbe un uomo che si accorgesse di poter “spegnere” e “accendere” a piacimento moglie e figli? O un prete cui un robot chiedesse l’estrema unzione? Questi e molti altri gli eccitanti interrogativi di Quasi umani, una delle più affascinanti e, in un certo senso, più problematiche antologie di fantascienza mai pubblicate.
Quasi umani
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